sabato 27 ottobre 2012

Cassazione: lo stress da super lavoro deve essere risarcito



Roma, 26 ottobre 2012 - Lo stress da super lavoro deve essere risarcito. Il danno va riconosciuto al lavoratore anche se non lo ha mai rivendicato nel corso del rapporto di lavoro e anche se, successivamente, viene espulso dall’ufficio. Il via libera arriva dalla Cassazione (sezione Lavoro, sentenza 18211) che spiega come, “in base al principio della ‘ragionevolezza’ l’orario di lavoro deve rispettare i limiti della tutela del diritto alla salute”.
In questo modo, la Suprema Corte ha convalidato un risarcimento del danno biologico pari a 25 mila euro nei confronti di un ex portiere di notte che aveva lavorato presso una società nella capitale, dal settembre 1974 al marzo 1997, riportando una sindrome nevrotico ansiosa da stress lavorativo.
Come ricostruisce la sentenza redatta da Umberto Berrino, il portiere, che per tanti anni aveva garantito l’assistenza ai clienti, curandosi anche della cura dei valori in cassaforte, aveva accusato uno stress da super lavoro (l’orario di lavoro andava dalle 21 alle 9 del mattino successivo). Da qui la sua richiesta di essere spostato ad un turno diurno. La società lo aveva invece licenziato, sostenendo che esistevano altri due portieri per il turno di giorno.
Davanti al giudice del Lavoro era stata stabilita la legittimità del licenziamento ma la società era stata condannata a risarcire l’ex portiere con 25 mila euro per la sindrome ansioso-depressiva. La Corte d’appello di Roma, nel marzo 2008, aveva inoltre riconosciuto al lavoratore una ulteriore somma di 1292 euro a titolo di differenze retributive.
Contro la condanna al risarcimento dello stress al lavoratore, la società ha fatto ricorso in Cassazione, facendo presente che la prestazione di un portiere non poteva essere considerata usurante date le “pause di inattività” legate a quel genere di prestazione. Piazza Cavour ha bocciato il ricorso e ha osservato che “il principio di ‘ragionevolezza’ in base al quale l’orario di lavoro deve rispettare i limiti della tutela del diritto alla salute, si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa”.
Del resto, annota ancora la Suprema Corte, “il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e la semplice temporanea inattività, computabile, invece a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale nel primo caso può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente la propria forza di lavoro per ogni necessità”.
Nel caso in questione, la Cassazione ha fatto notare che “legittimamente la Corte d’appello ha osservato che la società aveva imposto al lavoratore ritmi lavorativi gravosi come tali incidenti sull’equilibrio psico-fisico del medesimo”. Del tutto legittimamente, dunque, il super lavoro è stato ritenuto “concausa della sindrome nevrotica ansiosa” del lavoratore.

mercoledì 24 ottobre 2012

“Nuove generazioni, crescita e sviluppo, conoscenza transculturale, collaborazioni internazionali: criticità e proposte”



 

                                                         
Il Programma del Convegno

"Uniti per Unire" e le sfide del Futuro;
Nuove generazioni, crescita e sviluppo, conoscenza transculturale, collaborazioni internazionali: criticità e proposte 

  Presso Idea Hotel Z3 -Via Amos Zanibelli 13-15 , 00155 Roma 

28.10.2012 

Ore 10.00 - Registrazione
Ore 10.30 - Inizio Convegno

- Presentazione del Movimento 
Il Promotore:
Prof. Foad Aodi ;Presidente Amsi e Co-mai

Saluto delle Autorità
Vice Ambasciatore della Lega dei Paesi Arabi In Italia
Zouari Zouheir
Coordinatore Dossier d'immigrazione Caritas-migrantes
 Dr. Franco Pittau
Direttore Sanitario INMP Roma 
Dr. Roberto Testa 
Presidente Nazionale ANIMI Onlus
Avv. Mario Pavone
Presidente Comitato Romano della Lega dei Diritti dell’Uomo
Dr.Roberto Vismara

-Interventi dei soci fondatori dei dipartimenti di “Uniti per Unire”
6 minuti ogni relazione su criticita’ e proposte sui temi trattati.

Moderatori ;
 Dr. Francesco Bonelli ;Dipartimento Amministrativo
Dr .Daniele Romano; Ufficio Stampa  
Relatori
Dipartimento Politiche Giovanili.Universitarie e Seconda Generazione
Langer Enrique, Abidi Quiem,Khaled Haswhe
Dipartimento Lavoro e Consumo
Massimo D’Onofrio
Dipartimento Conoscenza Transculturale
Serena Forni,Loris Facchinetti , Luigi de Salvia
Dipartimento Oltre l’integrazione, Cittadinanza e Collaborazioni Internazionali
Kamel Belaituoche , Khalil Altoubat

Ore 13.30 Pranzo Cucina Araba per la Festa del Eid
La partecipazione e’ gratuita

sabato 20 ottobre 2012

Stop ai medici

COMUNICATO STAMPA

Stop della cassazione al medico che dirotta i pazienti operati in ospedale nel suo studio privato
Dalla sentenza e dalle indagini dei NAS emerge che i camici bianchi non hanno alcun interesse a visitare nel pubblico, quando nel privato sono pagati dai 100 euro in su per un quarto d'ora di accertamento. E più si allungano le code in corsia, più «clienti» arrivano.
Abuso d'ufficio per il medico che all'atto delle dimissioni dall'ospedale di alcuni pazienti, contravvenendo alle regole della disciplina intramuraria e al codice deontologico, li invita esplicitamente a recarsi per la visita di controllo post operatoria presso il suo studio professionale. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con sentenza n. 40824 del 17 ottobre 2012, condannando un medico che eseguiva delle visite a pagamento senza informare i pazienti stessi circa la possibilità di ottenere la medesima prestazione presso il presidio ospedaliero senza ulteriori spese, in quanto detta attività era già remunerata dalla tariffa, omnicomprensiva, corrisposta per il ricovero e l'intervento chirurgico.
Nella sentenza gli ermellini hanno sottolineato che "il medico, con la visita post operatoria in ambito privato, viene a percepire, un ingiusto vantaggio (da doppia retribuzione), con danno del paziente (che viene a versare un emolumento già compreso nel ticket), quale conseguenza della dolosa e funzionale carenza di informazione, al paziente stesso, della possibilità di ottenere il medesimo risultato terapeutico in sede ospedaliera: alternativa questa favorevole alla ‘persona operata', ma da essa non potuta esercitare per doloso difetto di informazione, in un contesto in cui il pubblico ufficiale ha violato manifestamente il dovere di astensione, indirizzando le parti nel suo studio privato per una prestazione che doveva essere contrattualmente praticata in ambito ospedaliero".
Inoltre si legge nella sentenza, al medico compete "l'obbligo di concludere l'intervento professionale nella sede naturale, ospedaliera, e senza ulteriori esborsi economici non dovuti, a meno che sia lo stesso paziente che opti, "re cognita", per tale soluzione, volendo che l'autore della visita post operatoria sia lo stesso medico che ha praticato l'intervento. (...) Né può sostenersi che si è trattato nella specie di una scelta volontaria dei pazienti posto che non risulta affatto che gli stessi siano stati informati del loro diritto di essere visitati, senza ulteriori aggravi economici, all'interno della struttura pubblica nella quale era stato praticato l'intervento chirurgico".
Per Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”,. chi sbaglia deve pagare. È questo il nudo e crudo significato della esemplare sentenza: la vera sorpresa è la conferma dei sospetti dei malati e cioè che i medici preferiscono ricevere privatamente. Per risolvere il problema, bisognerebbe eliminare l'intramoenia e imporre regole più ferree all'intramoenia allargata, ora fonte di numerosi comportamenti illeciti. Le accuse delle associazioni dei malati diventano certezza, la «colpa» delle liste d'attesa eterne è dei medici. O meglio della libera professione che, in regime di intramoenia (dentro l'ospedale), intramoenia allargata (in studi collegati perchè in ospedale non c'è posto) o extramoenia (in ambulatori indipendenti), svolgono parallelamente a quella pubblica e con la benedizione dell'Usl di appartenenza. Dalla sentenza e dalle indagini dei NAS emerge che i camici bianchi non hanno alcun interesse a visitare nel pubblico, quando nel privato sono pagati dai 100 euro in su per un quarto d'ora di accertamento. E più si allungano le code in corsia, più «clienti» arrivano. I Nas hanno scoperto, per esempio, che primari veneti in un anno non hanno ricevuto alcun paziente in ospedale, ma una valanga nei loro studi. E specialisti che, dopo aver prescritto una serie di esami durante un appuntamento pubblico, hanno poi suggerito all'utente di portarne gli esiti nei loro ambulatori. Risultato: versando solo il ticket si aspettano fino a 450 giorni per una mammografia o fino a 150 per un'ecografia, ma aprendo il portafoglio si attendono da uno a 7 giorni per qualsiasi prestazione. Una prassi tutta italiana che forse finalmente que sta sentenza rappresenta oggi un vero e proprio giro di vite.

Chi sbaglia paga

COMUNICATO STAMPA


Equitalia. Non è sufficiente aver cancellato in ritardo l’ipoteca illegittima. L’agente per la riscossione condannata alle spese di lite nei due gradi di giudizio. Due sentenze della CTP e della CTR di Lecce.

Chi sbaglia deve pagare. E non esiste Equitalia che tenga. È questo il nudo e crudo significato di due esemplari sentenze che sono state segnalate a Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, dal tributarista e noto avvocato Maurizio Villani, emesse dalla commissione tributaria provinciale di Lecce e della commissione tributaria regionale di Bari, sezione distaccata di Lecce.
Le due decisioni hanno entrambe condannato Equitalia al pagamento delle spese di lite nei due gradi di giudizio a seguito dell’iscrizione illegittima di ipoteca cancellata, peraltro, tardivamente.
La questione rilevante per i due collegi tributari è che non è sufficiente, che l’Agente per la riscossione abbia comunicato in sede d’udienza di discussione di aver provveduto alla cancellazione dell’ipoteca illegittima, e quindi solo dopo la proposizione del ricorso tributario, causando comunque un danno, che nel caso di specie riguardava l’attività imprenditoriale di un’azienda con sede nel capoluogo salentino.
Tale provvedimento (l’intempestiva iscrizione ipotecaria), infatti, “ha causato un ingiusto danno” - -- aveva evidenziato la CTP di Lecce - che aveva impedito “il normale svolgimento dell’attività imprenditoriale (preclusione all’ottenimento del credito da parte della clientela e delle banche)” Pena: la condanna alle spese processuali.
Non contenta, Equitalia aveva proposto comunque appello alla sentenza ed anche in secondo grado con la decisione le cui motivazioni sono state depositate in cancelleria lo scorso 08 ottobre, è stata confermata in toto la sentenza di primo grado e la condanna alle spese del doppio grado di giudizio.